Il Signore è con te.

Spunti per la quarta domenica di avvento.

Il vangelo di quest’ultima domenica di avvento (Lc 1, 26-38) ci riserva molte spunti per la nostra riflessione e diverse suggestioni. Come al solito prenderemo solo pochi aspetti.

«Il Signore è con te»: non è un’opinione, un pensiero così per dire, una possibilità tra le tante, una promessa. Il Signore è con te è un’affermazione, una certezza; è una dichiarazione d’amore esplicita. Alla Madre dei credenti è dato di generare il Figlio e tutti i figli nella fede. Maria è piena di grazia perché svuotata da se stessa: come un cesto libero da altro si lascia riempire di doni, del Dono, dello Spirito. Feconda Gesù per sé e il Cristo per gli altri. E’ madre della fede avendo creduto senza vedere e toccare, molto più dell’apostolo Tommaso che aveva condiviso almeno un tempo di vita insieme. E’ come noi all’inizio. Quello di Maria è uno spazio dato oltre il tempo ed esiste nel femminile dell’umanità, portato alla pienezza dalla giovane donna di Nazareth.

La notizia non priva di turbamenti non solo lei, ma anche noi. Forse possiamo pure sapere che Dio è con noi, ma la vita è quella che è sia a livello personale che nelle relazioni, nelle vicissitudini del mondo… Come si spiega tutto questo? Dubbi, incertezze, paure, attraversano trasversalmente ognuno di noi e il mondo vive le proprie fatiche su questo e altro quotidianamente. Non v’è dubbio sulla differenza tra ciò che è e la vita migliore; ma è proprio per questo che viene il Natale. Il Signore c’è ed è pronto a colmare tutti e il mondo, si svela fino in fondo in una mangiatoia ma il suo esserci è come una domanda e richiede una risposta.

Per questo Maria pronuncia l’”eccomi” più diffuso nella storia. Ecco me, io sono qui. Come dire: “Ok, ho capito, va bene, se Tu ci sei, ci sono anch’io. Io e te passeremo per gli incroci più difficili della storia: lo diremo ai pastori come ai magi e a tutti”. Sì, il Signore è con me ed è con te e, insieme, noi, possiamo cambiare il corso della storia, a partire dalla nostra storia personale.

Raccogliamo dentro di noi quest’annuncio e regaliamoci un Natale davvero diverso, oltre regali e restrizioni possiamo dire ‘eccomi’ in questa storia, in questi spazi, io voglio esserci davvero e ci sarò davvero per me stesso, per chi mi sta vicino e per il mondo. Se il Signore è con me, di chi e di che cosa avrò paura (Sal 26)?. Se il Signore è con me, io ci sono. Eccomi.

“Va’, fa’ quanto hai in mente di fare, perché il Signore è con te” (2Sam 7,3). Mi fido di me, mi affido a Te.

Il passo della gioia.

Spunti per la terza domenica di Avvento.

Nel percorso verso l’avvento, questa domenica batte il passo della gioia. Anche la candela della corona cambia colore è diventa rosa. Tra le quattro dell’Avvento, questa è una domenica che si distingue. Gioite, rallegratevi sempre, il Signore viene (Fil 4,4), recita l’antifona della liturgia odierna.

Come sempre la Parola proposta è ricca; iniziamo col soffermarci su alcune espressioni, della lettura di Isaia (61, 1-2.10-11), sottolineando tre passaggi che soggiacciono a questo invito alla gioia.

Primo passaggio. Come battezzati siamo consacrati, siamo parte di Dio e, come tali, siamo chiamati all’annuncio e alla carità. Questa è la nostra gioia. Portare il lieto annuncio ai miseri, fasciare le piaghe dei cuori spezzati, proclamare la libertà degli schiavi, … perché appartengo, apparteniamo a Dio, tutti. Non esiste condizione che ci privi e privi nessuno del suo abbraccio amorevole.

Secondo Passaggio. Egli mi ha rivestito delle vesti di salvezza, mi ha avvolto con il mantello della giustizia, mi ha nobilitato con i suoi gioielli. Così come ha impreziosito me, Dio desidera che l’umanità sia ugualmente impreziosita riconoscendo lo Spirito nel suo essere, anche mediante l’azione di ogni singolo consacrato.

Terzo Passaggio. Solo così, germoglierà la giustizia e tutti potremmo dire le meraviglie di Dio. Poiché come un giardino fa germogliare i suoi semi, anche la terra di ciascun essere umano può essere fertile e fruttuosa. Come sempre si intreccia il rapporto personale con Dio anche attraverso la relazione con chi mi è vicino.

C’è di che essere gioiosi. Il Signore per primo è vicino. Come possiamo riconoscerlo? Giovanni il battista nel Vangelo odierno rappresenta la figura che ognuno di noi può avere come modello per un percorso che renda visibile la presenza di Cristo nelle nostre giornate verso il Natale, e non solo. A noi tocca ‘ritrarre’ il nostro ego per lasciare spazio al Messia, al Consacrato; noi siamo voce nel deserto, Egli è Parola del Giardino, seme che germoglia. C’è una distanza tra divino e umano che grazie al Natale viene colmata, per l’abbondante misericordia di Dio.

Ecco, il nostro Dio viene anche così: riconoscendo di essere sua parte, consacrati e inviati alle donne e agli uomini che ci sono vicini.

Senza timore alcuno poiché siamo rivestiti della sua splendida bellezza; a noi tocca solo di lasciare che sia lui a prendere spazio e la vita cambierà, sarà Natale vero.

Rallegratevi dunque, Rallegratevi nel Signore, sempre.

Anna Maria e Francesco Paolo

Colmare, ridurre, raddrizzare le strade.

Spunti per la seconda domenica di Avvento.

L’Avvento è un tempo STRAordinario, nell’ordinarietà dei nostri giorni, in cui decidiamo di metterci in cammino verso il Natale.

Nelle letture di questa seconda domenica di Avvento, Isaia ci invita alla preparazione della strada per il ritorno verso Gerusalemme, dopo il periodo d’esilio in Babilonia.

Marco, all’inizio del suo vangelo (il più antico tra i quattro) riporta la predicazione di Giovanni il battista che gridava nel deserto: “preparate la via del Signore”. L’invito è quello di andare da Gerusalemme verso il Giordano, il luogo in cui immergersi nel battesimo con acqua, segno del futuro battesimo nello Spirito.

Nei due brani c’è l’idea di una strada da sistemare: essa ci potrà condurre verso un ‘nuovo vertice’ della vita, ovvero verso una vera e propria con-versione.

Colmare, ridurre, raddrizzare, sono alcune delle operazioni necessarie per lasciare le nostre ‘Babilonie’ e rigenerarsi nello Spirito. Ad esempio, potremmo utilizzare le numerose luci e lucine che troviamo per strada o quelle che utilizziamo per l’addobbo casalingo, come luci evocatrici di una pista di atterraggio o di un faro per orientarsi alla Luce.

Aprire spazi, creare luoghi perché il vero Natale trovi posto nelle nostre vite.

L’Avvento è per noi la strada spirituale verso un Natale diverso, come un grido nel deserto di una pandemia, di una distrazione di massa verso consumi più o meno sobri, di un deserto interiore magari con una via stanca piena di buche o di grandi sassi, una strada fatta di una fede convenzionale di abitudini e/o di sole regole senza un’anima.

In questo Avvento ecco per noi una strada nuova: colma, riduci, raddrizza le tue giornate, vivi il tuo ‘deserto’ come una risorsa per preparare un Natale nuovo. Rifare i nostri spazi con presepe ad albero e creare luoghi interiori come una culla, una mangiatoia, per accogliere vita nuova, come accade in ogni grembo materno che si espande e in alcune parti si ritrae, per far posto alla nuova vita che verrà.

Un invito per ciascuno di noi.

Puoi far coincidere la nascita di Gesù con le tua rinascita, con-vertendo il tuo battesimo sulla strada della riscoperta della sorgente di vita, bontà, verità e bellezza.

Il Signore viene e traccia la strada con i suoi profeti, ha segnato con i suoi testimoni il percorso da seguire e, noi, siamo invitati e inviati tra di essi perché il mondo possa intravedere la vera Luce che viene ogni giorno, tra le tante piccole stelle di Natale.

Anna Maria e Francesco Paolo

Siate attenti.

Spunti per la prima domenica di Avvento.

Il vangelo di questa prima domenica di avvento (Mc 13, 33-37) ci esorta a ‘vegliare’. Il verbo viene ripetuto in poche righe ben quattro volte. La sottolineatura è tale che ritroviamo il termine in apertura e chiusura.

Siate attenti, vigilate. Lo dico a tutti, vigilate. La cosa è proprio seria e Matteo ci avverte così del rischio di essere sonnecchiosi, se non completamente dormienti. Collocati nelle abitudini quotidiane, facciamo fatica a restare nelle domande più profonde. Può accadere anche nelle situazioni più straordinarie e, anziché sollecitarci per comprendere meglio chi siamo e dove vogliamo andare, ci ‘svegliamo’ solo un attimo come di soprassalto in un incubo, ritornando poi nella faccende ordinarie, come dei turisti nella vita. Può sembrare che la cosa ci spaventi, ma poi tutto può ritornare come prima e ricominciamo a sopravvivere mentre crediamo di vivere.

Siate attenti, vigilate.

Il vegliare è l’azione di colui che presta (maggiore) attenzione in un tempo particolare tipo la notte, in un momento di difficoltà o per la protezione di persone e luoghi… Il vegliare è un’attitudine da allenare per cercare di essere presenti dalla vita vera, mentre tutto scorre ‘normalmente’ e normalizzato da convinzioni e credenze. ‘Dormire’ all’essenza della vita, sopraffatti da bisogni effimeri, è il grosso rischio che possiamo correre anche nel vivere questo Natale come quello degli altri anni, nonostante tutto, senza la giusta vigilanza spirituale.

Il nostro compito, secondo l’indicazione di Gesù, è quello di non dormire: perché e come possiamo non addormentarci? L’immagine che ci può aiutare è quella del portiere e che ritroviamo nei versetti che stiamo commentando. La sua funzione è quella di custodire una porta, una soglia, un limite, una frontiera. Possiamo allora sentirci sempre lì, pronti ad arginare le diverse situazioni di comfort, come la fede relegata a certezze, dogmi e regole, oppure riscoprirla come una fonte inesauribile di relazioni sane e vere la cui sorgente sempre nuova è Cristo. E’ una soglia su cui stare, dove dobbiamo essere attenti, vigilare. Siamo sempre al confine tra il rimanere addormentati nelle cose del mondo o risvegliarci alla presenza di Dio.

Ma cosa dobbiamo custodire? Questo nostro portiere custodisce tutti i carismi in noi. Infatti, non manca nulla a chi incontra Cristo (cfr 1Cor 1, 6-7). E’ questa è la premura che dobbiamo avere: riconoscere costantemente l’essenza personale nobile e condividerla con ci chi sta accanto.

Vigiliamo dunque e iniziamo questo Avvento.

Prepariamoci all’Avvento allenandoci al silenzio.

Spunti di riflessione per il prossimo periodo che ci prepara al Natale.

Nell’antichità, prima ancora che per il periodo di preparazione al Natale, l’essere in avvento si riferiva al tempo di attesa di un personaggio importante, della visita del Re o di un suo funzionario e, in talune culture, anche al tempo in cui ci sarebbe stata la manifestazione della divinità che, lasciava il luogo abituale del suo nascondimento agli occhi degli uomini. Era un po’ come una specie di ‘umanizzazione’ di Dio che è compreso, in qualche modo, in quello che contempliamo nel nostro mistero natalizio.

‘Avvento’ per i cristiani è attesa di questo evento del Dio che viene e si incarna nella storia. Attesa che, nel nostro caso, non ha niente a che fare con l’aspettativa: sappiamo che è venuto già e ci prepariamo oggi come ogni anno a farne memoria, a celebrare una festa. E’ fantastico come in questo tempo si conservino delle forme ancestrali legate al silenzio, al silenzio della natura, al silenzio del buio che nel suo solstizio inizia ad arrendersi alla luce. E’ un’attesa che non dubita, che è certa che, nel ciclo delle stagioni, l’inizio dell’inverno contiene in sé già i primordi della stagione successiva, la primavera, la nuova vita.

Ma ora si attende: ci si misura con questa ‘tensione-verso’, si at-tende. Siamo in attesa pieni di speranza, ma siamo contemporaneamente già certi che Egli è qui, perché altrimenti non avremmo necessità di farne memoria, di ri-cordarlo, di portarlo nuovamente al cuore. Dio c’è e si fa trovare sempre da chi lo cerca con cuore sincero (cfr Sal 144, 18).

Allora potremmo tradurre questo tempo come un tempo di allenamento per ri-conoscere, conoscere nuovamente, la presenza di Cristo nel mondo e non in un mondo generico, ma nel mio mondo. In questo nuovo conoscere c’è un principio certo e una domanda: Lui c’è già ed io dove sono? Se non mi colloco in maniera da poterlo incontrare sarà difficile fare Natale. Dovrò allora allenarmi ad essere presente a me stesso, prima ancora di cercare di essere presente al Dio che s’incarna nella storia della mia vita.

L’avvento liturgico è la mia preparazione speciale al quotidiano situarmi all’interno dell’eterno presente di Dio. Sono forse troppo spesso nel passato, guardo a quello che poteva essere e non è stato? Al torto subito o a quello dato? Non sono in Avvento. Oppure guardo al futuro? Voglio mantenere tutto sotto controllo e mi preoccupo con paura di quello che potrebbe accadere? Come sarà questo Natale col Covid? Mangeremo il panettone insieme con parenti e amici o sarò a tavola con i più intimi? Con questi ed altri pensieri simili, sembra difficile dire di essere nel presente eterno di Dio e così non mi preparo nemmeno all’Avvento.

Passato e futuro passano in secondo piano mentre si vive l’avvento, che potremmo definire dunque come una specie di costante attesa al presente.

Se attendiamo il Verbo, è il silenzio che deve contrassegnare questo tempo. A scanso di equivoci: non il mutismo, l’assenza di parole, ma un tacere psico-emotivo e fisico voluto, davanti al mistero della libertà amorevole di Dio di farsi presente all’umanità, a me.

Non siamo ancora in avvento o, forse, potremmo esserlo da tempo senza saperlo. Attendiamo che passi il Re e, ancora forse, potrebbe essere già passato e non ce ne siamo accorti. Fortunatamente lui c’è sempre, presenza eterna che comprende la storia e la speranza certa del futuro in lui. Facciamo spazio al silenzio vero creando le migliori condizioni, ora, e… prepariamoci all’Avvento.

Il nostro Re è speciale.

Considerazioni sul vangelo della domenica.

E’ proprio ‘dell’altro mondo’, quello migliore.

Sì, perché un altro mondo è possibile e possiamo dirlo dopo questi ultimi tre passi che la comunità dell’evangelista Matteo ci ha fatto fare in queste ultime domeniche che concludono l’ anno liturgico.

Alle vergini è data la possibilità di agire con amore verso se stesse, lo Sposo, il mondo.

L’amore è dato dal Signore gratis; è dato in modo smisurato nella metafora dei talenti da investire. E’ dato senza timori e ci invita a non dichiararci inabili, come spesso facciamo addirittura prima ancora di iniziare ad agire.

Il nostro Re è davvero speciale.

Viene come un pastore per le sue pecore, compie il suo lavoro (ed è un grande lavoratore)

E’ un grande re che si prende le sue responsabilità, con cura e fino in fondo. Se non lo avessimo ancora capito, ce lo ripete ancora, fino alla fine. Vuole dirti: “Se non agisci con amore e per la giustizia ti perdi. Il tuo orizzonte, la tua finalità è il prendere parte con lui, il re pastore, del regno nuovo già qui, ora, in questa vita. Se non prendi l’olio, se sotterri il talento, se non ti ami e non investi nell’amore verso chi è più in difficoltà, te per primo, ti perdi qualcosa, ti escludi da questo regno, ti sei già separato dal resto”.

Il nostro Re è più di una parte, è universale.

Vuol dire che è per tutti e che non esclude nessuno. Chi si tira fuori, lo fa per sua scelta o forse solo per triste, drammatica inconsapevolezza di quanto Amore e non Giudizio, ci sia nello sguardo del Padre. Solo nelle relazioni sane ci si salva. Il Re universale vuole portare tutti alla vita vera e, fino alla fine, è con te, per non farti essere il ‘solito caprone’, potremmo dire con il sorriso sulle labbra. Con William Blake comprendiamo meglio il senso di questa ultima parabola: “Ho cercato la mia anima e non l’ho trovata. Ho cercato Dio e non l’ho trovato. Ho cercato mio fratello e lì ho trovato tutti e tre”.

Chi vuole prendere parte al regno universale di questo Re più che speciale, lo segue nella via che egli stesso ha segnato e si riconosce come essere umano in relazione. Ciò dice-bene (bene-dice) la propria vita. Chi si chiude in se stesso, si sotterra, dice-male (male-dice), bruciando rovinosamente i propri giorni.

Il mio Re è un pastore amorevole.

Mi custodisce insieme ai fratelli più invisibili al mondo.

Dio mi ama, prezioso ai suoi occhi come prezioso per il Pastore è tutto il gregge e che tutto offre per l’unicità di ciascuno. E proprio quando divento stracolmo, debordante di gratitudine e meraviglia, vedo che non c’è più separazione tra me e gli altri, non c’è nulla di più naturale che sostenere gli altri, perché ciò che dono, migliora gli altri e me all’istante.

Quella che ci fa soffrire di più la pandemia, per esempio nel distanziamento tra noi, ci fa desiderare di più il suo contrario, perché così si propagherà l’amore di Dio, anche nelle forme che possiamo trovare comunque possibili oggi.

Non potremmo essere più sollecitati di così: ciò che ci viene tolto, ci faccia sentire il fuoco della mancanza così forte da renderci inquieti e arditi , per ritornare lì dove il Re vive già per costruire il Regno di Amore e di Pace, oggi.

Anna Maria e Francesco Paolo

L’olio non finirà.

“Il regno dei cieli è simile a dieci vergini… ”è l’apertura del Vangelo di domani, 8 novembre (Mt 25 1-13). Cinque di esse sono stolte e cinque sapienti. Sembra la rappresentazione del mondo di oggi sotto gli occhi di tutti: abbiamo persone di tutti i tipi, pregi e difetti scorrono tra le righe quotidiane e sono esperienza di tutti. Queste vergini hanno tutte delle lampade ossia, partono tutte con la stessa dotazione per andare incontro allo sposo della parabola. Però, non tutte prendono l’olio, che è sempre a disposizione di tutte loro. Appare dunque evidente che la differenza tra le stolte e le sapienti non è su ciò che sono o ciò che hanno, ma su ciò che scelgono di fare, sulla propria volitività, sulla determinazioni delle azioni possibili. Possono essere del regno nuovo se agiscono e se lo fanno con sapienza. Non manca nulla a nessuno. La buona notizia è per tutti: recepire l’invito alle nozze significa essere pronti ad agire. Il vangelo non è un salotto, buono o cattivo che sia, è invece prendersi cura di sé per vivere pienamente le nozze con il Risorto.

L’evangelista Matteo in questo brano, ci dice non è sufficiente essere invitati e rispondere positivamente all’invito. A tutti è concesso sempre di essere vergini, riscrivere sempre la propria vita e in ogni momento, a tutti è concessa la lampada per le vie buie e sappiamo bene come la vita presenta sempre strade difficili. Ma ciò che rende il credente diverso, è l’essere recipiente della sapienza che agisce, che non si trascura, che non rimanda, che ama l’incontro con lo sposo.
La sapienza si fa trovare se la cerchi. Ti anticipa, se la desideri. Se ti svegli presto, la trovi alla porta. Essa stessa vuole inondarti con ogni benevolenza (Cfr Sap 6, 12-16), ma devi scomodarti, rompere gli schemi di convinzioni e credenze, renderti nuovo. In altre parole, lanciarti con fiducia verso le tue capacità nelle braccia amanti di Cristo.
Il regno dei cieli può essere qui, ora, in questo momento, puoi essere la sposa più felice e non autoescluderti senza rimanere fuori dalla porta, se provvedi tu a ciò che ti serve davvero per questo incontro. A che serve lamentarsi delle cose che non vanno bene se non mettiamo olio in abbondanza nelle nostre lampade.
La luce della Parola, dall’olio di una fare sapiente, illumina e riscalda il tuo cammino, anche in questo tempo di pandemia.

Anna Maria e Francesco Paolo

La pratica dell’Amore

In questa domenica le letture rinnovano le prime declinazioni pratiche dell’amore. Nascono banalmente da una provocazione a cui ci hanno abituato i farisei in queste ultime domeniche: «Qual è il comandamento massimo?» gli chiede un dottore della legge. Gesù non si sottrae alla domande e richiama lo Shemà’, la preghiera più ripetuta in Israele: il Signore è uno, lui solo ama con tutto te stesso. Poi integra questo comandamento dicendo anche il come, perché non rimanga solo uno slogan, cui tanto siamo ormai abituati. Similmente, ama te stesso e così gli altri. Ama Dio, allo stesso modo, ama te stesso e, così, anche gli altri.

Sono qui accanto a te

Dice Dio, parafrasando la prima lettura: io ti amo quando ti senti forestiero nel mondo e nelle tue giornate, quando ti senti orfano, quando ti senti maltrattato dagli eventi. Ti amo in modo gratuito, senza interessi e così sei ricco abbastanza. Usa la stessa misura verso chi ti è accanto: questo è il massimo per te e per chi ti è vicino. Amati senza giudizio e con generosità. Sii grato per ciò che ricevi e allo stesso modo relazionati con chi incontri. Questo è il massimo che è difficile inserirlo nella categoria dei comandi poiché trabocca di solo amore. L’esercizio è teoricamente semplice: ricevo da Dio che mi colma di grazia eccedente che straripa al mondo.

Nessuno si salva da solo

Il mondo ha bisogno di cristiani così. Ad esempio, l’ultimo rapporto Caritas del 17 ottobre u.s., ‘Gli anticorpi della solidarietà’, ci parla, tra l’altro, di “nuovi poveri” con un incidenza che passa dal 31 al 45% tra quelli che si rivolgono alla Caritas. Ci sono anche circa 62mila volontari che cercano di amare se stessi amando queste persone, in cui amano Dio.

Non siamo poi così lontani se guardiamo alle carezze che offriamo in casa, agli sguardi sorridenti che regaliamo per strada, dietro le nostre mascherine, ai pensieri/preghiere che pronunciamo per gli altri. Se Dio è così per noi, possiamo esserlo anche noi per gli altri.

Essere coerenti ci rende certi della testimonianza

Nella seconda lettura san Paolo ci dice proprio questo: abbiamo seguito l’esempio del Signore e noi possiamo diventare modelli per la nostra comunità di questo nuovo modo; la nostra comunità stessa diventa modello di accoglienza dello straniero nei prossimi giorni. Si diffonde con l’esempio oltre le parole.

Fatti amare da Dio e ama i tuoi fratelli, come sei e come puoi.

Francesco Paolo e Anna Maria