Siate attenti.

Spunti per la prima domenica di Avvento.

Il vangelo di questa prima domenica di avvento (Mc 13, 33-37) ci esorta a ‘vegliare’. Il verbo viene ripetuto in poche righe ben quattro volte. La sottolineatura è tale che ritroviamo il termine in apertura e chiusura.

Siate attenti, vigilate. Lo dico a tutti, vigilate. La cosa è proprio seria e Matteo ci avverte così del rischio di essere sonnecchiosi, se non completamente dormienti. Collocati nelle abitudini quotidiane, facciamo fatica a restare nelle domande più profonde. Può accadere anche nelle situazioni più straordinarie e, anziché sollecitarci per comprendere meglio chi siamo e dove vogliamo andare, ci ‘svegliamo’ solo un attimo come di soprassalto in un incubo, ritornando poi nella faccende ordinarie, come dei turisti nella vita. Può sembrare che la cosa ci spaventi, ma poi tutto può ritornare come prima e ricominciamo a sopravvivere mentre crediamo di vivere.

Siate attenti, vigilate.

Il vegliare è l’azione di colui che presta (maggiore) attenzione in un tempo particolare tipo la notte, in un momento di difficoltà o per la protezione di persone e luoghi… Il vegliare è un’attitudine da allenare per cercare di essere presenti dalla vita vera, mentre tutto scorre ‘normalmente’ e normalizzato da convinzioni e credenze. ‘Dormire’ all’essenza della vita, sopraffatti da bisogni effimeri, è il grosso rischio che possiamo correre anche nel vivere questo Natale come quello degli altri anni, nonostante tutto, senza la giusta vigilanza spirituale.

Il nostro compito, secondo l’indicazione di Gesù, è quello di non dormire: perché e come possiamo non addormentarci? L’immagine che ci può aiutare è quella del portiere e che ritroviamo nei versetti che stiamo commentando. La sua funzione è quella di custodire una porta, una soglia, un limite, una frontiera. Possiamo allora sentirci sempre lì, pronti ad arginare le diverse situazioni di comfort, come la fede relegata a certezze, dogmi e regole, oppure riscoprirla come una fonte inesauribile di relazioni sane e vere la cui sorgente sempre nuova è Cristo. E’ una soglia su cui stare, dove dobbiamo essere attenti, vigilare. Siamo sempre al confine tra il rimanere addormentati nelle cose del mondo o risvegliarci alla presenza di Dio.

Ma cosa dobbiamo custodire? Questo nostro portiere custodisce tutti i carismi in noi. Infatti, non manca nulla a chi incontra Cristo (cfr 1Cor 1, 6-7). E’ questa è la premura che dobbiamo avere: riconoscere costantemente l’essenza personale nobile e condividerla con ci chi sta accanto.

Vigiliamo dunque e iniziamo questo Avvento.

Prepariamoci all’Avvento allenandoci al silenzio.

Spunti di riflessione per il prossimo periodo che ci prepara al Natale.

Nell’antichità, prima ancora che per il periodo di preparazione al Natale, l’essere in avvento si riferiva al tempo di attesa di un personaggio importante, della visita del Re o di un suo funzionario e, in talune culture, anche al tempo in cui ci sarebbe stata la manifestazione della divinità che, lasciava il luogo abituale del suo nascondimento agli occhi degli uomini. Era un po’ come una specie di ‘umanizzazione’ di Dio che è compreso, in qualche modo, in quello che contempliamo nel nostro mistero natalizio.

‘Avvento’ per i cristiani è attesa di questo evento del Dio che viene e si incarna nella storia. Attesa che, nel nostro caso, non ha niente a che fare con l’aspettativa: sappiamo che è venuto già e ci prepariamo oggi come ogni anno a farne memoria, a celebrare una festa. E’ fantastico come in questo tempo si conservino delle forme ancestrali legate al silenzio, al silenzio della natura, al silenzio del buio che nel suo solstizio inizia ad arrendersi alla luce. E’ un’attesa che non dubita, che è certa che, nel ciclo delle stagioni, l’inizio dell’inverno contiene in sé già i primordi della stagione successiva, la primavera, la nuova vita.

Ma ora si attende: ci si misura con questa ‘tensione-verso’, si at-tende. Siamo in attesa pieni di speranza, ma siamo contemporaneamente già certi che Egli è qui, perché altrimenti non avremmo necessità di farne memoria, di ri-cordarlo, di portarlo nuovamente al cuore. Dio c’è e si fa trovare sempre da chi lo cerca con cuore sincero (cfr Sal 144, 18).

Allora potremmo tradurre questo tempo come un tempo di allenamento per ri-conoscere, conoscere nuovamente, la presenza di Cristo nel mondo e non in un mondo generico, ma nel mio mondo. In questo nuovo conoscere c’è un principio certo e una domanda: Lui c’è già ed io dove sono? Se non mi colloco in maniera da poterlo incontrare sarà difficile fare Natale. Dovrò allora allenarmi ad essere presente a me stesso, prima ancora di cercare di essere presente al Dio che s’incarna nella storia della mia vita.

L’avvento liturgico è la mia preparazione speciale al quotidiano situarmi all’interno dell’eterno presente di Dio. Sono forse troppo spesso nel passato, guardo a quello che poteva essere e non è stato? Al torto subito o a quello dato? Non sono in Avvento. Oppure guardo al futuro? Voglio mantenere tutto sotto controllo e mi preoccupo con paura di quello che potrebbe accadere? Come sarà questo Natale col Covid? Mangeremo il panettone insieme con parenti e amici o sarò a tavola con i più intimi? Con questi ed altri pensieri simili, sembra difficile dire di essere nel presente eterno di Dio e così non mi preparo nemmeno all’Avvento.

Passato e futuro passano in secondo piano mentre si vive l’avvento, che potremmo definire dunque come una specie di costante attesa al presente.

Se attendiamo il Verbo, è il silenzio che deve contrassegnare questo tempo. A scanso di equivoci: non il mutismo, l’assenza di parole, ma un tacere psico-emotivo e fisico voluto, davanti al mistero della libertà amorevole di Dio di farsi presente all’umanità, a me.

Non siamo ancora in avvento o, forse, potremmo esserlo da tempo senza saperlo. Attendiamo che passi il Re e, ancora forse, potrebbe essere già passato e non ce ne siamo accorti. Fortunatamente lui c’è sempre, presenza eterna che comprende la storia e la speranza certa del futuro in lui. Facciamo spazio al silenzio vero creando le migliori condizioni, ora, e… prepariamoci all’Avvento.

Il nostro Re è speciale.

Considerazioni sul vangelo della domenica.

E’ proprio ‘dell’altro mondo’, quello migliore.

Sì, perché un altro mondo è possibile e possiamo dirlo dopo questi ultimi tre passi che la comunità dell’evangelista Matteo ci ha fatto fare in queste ultime domeniche che concludono l’ anno liturgico.

Alle vergini è data la possibilità di agire con amore verso se stesse, lo Sposo, il mondo.

L’amore è dato dal Signore gratis; è dato in modo smisurato nella metafora dei talenti da investire. E’ dato senza timori e ci invita a non dichiararci inabili, come spesso facciamo addirittura prima ancora di iniziare ad agire.

Il nostro Re è davvero speciale.

Viene come un pastore per le sue pecore, compie il suo lavoro (ed è un grande lavoratore)

E’ un grande re che si prende le sue responsabilità, con cura e fino in fondo. Se non lo avessimo ancora capito, ce lo ripete ancora, fino alla fine. Vuole dirti: “Se non agisci con amore e per la giustizia ti perdi. Il tuo orizzonte, la tua finalità è il prendere parte con lui, il re pastore, del regno nuovo già qui, ora, in questa vita. Se non prendi l’olio, se sotterri il talento, se non ti ami e non investi nell’amore verso chi è più in difficoltà, te per primo, ti perdi qualcosa, ti escludi da questo regno, ti sei già separato dal resto”.

Il nostro Re è più di una parte, è universale.

Vuol dire che è per tutti e che non esclude nessuno. Chi si tira fuori, lo fa per sua scelta o forse solo per triste, drammatica inconsapevolezza di quanto Amore e non Giudizio, ci sia nello sguardo del Padre. Solo nelle relazioni sane ci si salva. Il Re universale vuole portare tutti alla vita vera e, fino alla fine, è con te, per non farti essere il ‘solito caprone’, potremmo dire con il sorriso sulle labbra. Con William Blake comprendiamo meglio il senso di questa ultima parabola: “Ho cercato la mia anima e non l’ho trovata. Ho cercato Dio e non l’ho trovato. Ho cercato mio fratello e lì ho trovato tutti e tre”.

Chi vuole prendere parte al regno universale di questo Re più che speciale, lo segue nella via che egli stesso ha segnato e si riconosce come essere umano in relazione. Ciò dice-bene (bene-dice) la propria vita. Chi si chiude in se stesso, si sotterra, dice-male (male-dice), bruciando rovinosamente i propri giorni.

Il mio Re è un pastore amorevole.

Mi custodisce insieme ai fratelli più invisibili al mondo.

Dio mi ama, prezioso ai suoi occhi come prezioso per il Pastore è tutto il gregge e che tutto offre per l’unicità di ciascuno. E proprio quando divento stracolmo, debordante di gratitudine e meraviglia, vedo che non c’è più separazione tra me e gli altri, non c’è nulla di più naturale che sostenere gli altri, perché ciò che dono, migliora gli altri e me all’istante.

Quella che ci fa soffrire di più la pandemia, per esempio nel distanziamento tra noi, ci fa desiderare di più il suo contrario, perché così si propagherà l’amore di Dio, anche nelle forme che possiamo trovare comunque possibili oggi.

Non potremmo essere più sollecitati di così: ciò che ci viene tolto, ci faccia sentire il fuoco della mancanza così forte da renderci inquieti e arditi , per ritornare lì dove il Re vive già per costruire il Regno di Amore e di Pace, oggi.

Anna Maria e Francesco Paolo

L’olio non finirà.

“Il regno dei cieli è simile a dieci vergini… ”è l’apertura del Vangelo di domani, 8 novembre (Mt 25 1-13). Cinque di esse sono stolte e cinque sapienti. Sembra la rappresentazione del mondo di oggi sotto gli occhi di tutti: abbiamo persone di tutti i tipi, pregi e difetti scorrono tra le righe quotidiane e sono esperienza di tutti. Queste vergini hanno tutte delle lampade ossia, partono tutte con la stessa dotazione per andare incontro allo sposo della parabola. Però, non tutte prendono l’olio, che è sempre a disposizione di tutte loro. Appare dunque evidente che la differenza tra le stolte e le sapienti non è su ciò che sono o ciò che hanno, ma su ciò che scelgono di fare, sulla propria volitività, sulla determinazioni delle azioni possibili. Possono essere del regno nuovo se agiscono e se lo fanno con sapienza. Non manca nulla a nessuno. La buona notizia è per tutti: recepire l’invito alle nozze significa essere pronti ad agire. Il vangelo non è un salotto, buono o cattivo che sia, è invece prendersi cura di sé per vivere pienamente le nozze con il Risorto.

L’evangelista Matteo in questo brano, ci dice non è sufficiente essere invitati e rispondere positivamente all’invito. A tutti è concesso sempre di essere vergini, riscrivere sempre la propria vita e in ogni momento, a tutti è concessa la lampada per le vie buie e sappiamo bene come la vita presenta sempre strade difficili. Ma ciò che rende il credente diverso, è l’essere recipiente della sapienza che agisce, che non si trascura, che non rimanda, che ama l’incontro con lo sposo.
La sapienza si fa trovare se la cerchi. Ti anticipa, se la desideri. Se ti svegli presto, la trovi alla porta. Essa stessa vuole inondarti con ogni benevolenza (Cfr Sap 6, 12-16), ma devi scomodarti, rompere gli schemi di convinzioni e credenze, renderti nuovo. In altre parole, lanciarti con fiducia verso le tue capacità nelle braccia amanti di Cristo.
Il regno dei cieli può essere qui, ora, in questo momento, puoi essere la sposa più felice e non autoescluderti senza rimanere fuori dalla porta, se provvedi tu a ciò che ti serve davvero per questo incontro. A che serve lamentarsi delle cose che non vanno bene se non mettiamo olio in abbondanza nelle nostre lampade.
La luce della Parola, dall’olio di una fare sapiente, illumina e riscalda il tuo cammino, anche in questo tempo di pandemia.

Anna Maria e Francesco Paolo