Corpus Domini: il corpo del Signore
Il Mistero
Cogliamo l’occasione di questa festa per fare un po’ di amicizia con questo che, tutto sommato e per molti versi, rimane un mistero. Possiamo dunque fare delle considerazioni in maniera umile, davanti alla complessa presenza di Dio nel mondo: è fuor di dubbio e nella natura delle cose che fra l’essere umano e la divinità si conservi uno spazio impenetrabile. Proviamo così a leggere il mistero del ‘Corpo del Signore’ analogamente al fenomeno della diffrazione, sapendo che rimane una differenza davanti alla quale non c’è che da rimanere in silenzio.
La relazione con Lui
Ciò che non si cela per noi cristiani del ‘corpo del Signore,’ si basa su quanto rivelato: per noi il principio è un incontro, così come proposto continuamente nei vangeli, dove è chiara una relazione personale, vera, tra il Risorto e ciascuno degli interpreti narrati. Essi sono il nostro essere qui ed ora oggi: ci manifestiamo in questo tempo e in questo nostro corpo e, mediante lo Spirito (infatti ‘il nostro corpo è tempio dello Spirito Santo, 1Cor 6, 19), veniamo condotti e invitati a pienezza fino a dire con Paolo ‘non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me’ (Gal 2, 20).
La Comunità come corpo
Tutti i battezzati sono poi in un ‘corpo del Signore’ Ecclesiale, cioè il corpo si rappresenta in una dimensione comunitaria e, infatti, ‘dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro’ dice Gesù nel vangelo di Matteo (18, 20).
La Chiesa fa l’Eucarestia. La presenza di Cristo diviene così reale nella comunità, mediante i segni del pane e del vino, il ‘corpo del Signore’ Sacramentale che ci permette di alimentarci del suo Amore. Noi lo crediamo vivo e vero nelle specie più povere e anche più alla nostra portata (come appunto il pane e il vino) per divenire noi stessi pane d’amore per il mondo, allo stesso modo di Cristo.
Nel corpo dei fratelli, dissetandoli, accogliendoli, trovate me
Vi è poi infatti, un ‘corpo del Signore’ più diffuso: ‘tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me’. È sempre Gesù che parla in prima persona nel vangelo di Matteo (25, 40) e che ci invita a prenderci cura dei più piccoli della terra, dell’umanità più marginale, come se fossero lui stesso anzi, non come se, ma sono lui. Per lui apriamo il nostro cuore e le nostre vite a chi è in difficoltà e lì, incontriamo anche noi stessi nel meraviglioso mistero del Corpo di Cristo, riconoscendo le direzioni verticali (tra terra e cielo) e orizzontali (per l’umanità e il creato) del nostro esserci. Siamo essere personali e comunitari e, nel Risorto, lo saremo in pienezza.
In questa esperienza, la prospettiva escatologica che ci attende è quella di un corpo capace di guardare ‘Dio tutto in tutti’ (cfr 1Cor 15, 28) in un ‘corpo’ che possiamo immaginare, forse, solo un pochino.
Non tutto si può comprendere, ma si può già pienamente gioire
Godiamoci ciò che ci è stato rivelato: impariamo ad amare noi stessi, a vivere come fratelli nelle nostre comunità, a nutrirci dei sacramenti facendo eucarestia e servendo i più piccoli.
Qui c’è Dio, qui c’è il Corpus Domini.
Anna Maria e Francesco
La Pace è il segno dell’Amore che è in te
Il primo giorno dopo il sabato, quello della resurrezione, quello della nuova creazione, quello della vita nuova, oltre le porte chiuse, Gesù stette con loro. Rimase con i discepoli impauriti ancora dai Giudei e, nonostante l’annuncio della resurrezione, si sentivano ancora sopraffatti dal mondo intorno a loro.
Pace a voi, disse Gesù.
Fino a quando c’è bisogno delle ferite per risvegliarci?
E’ necessario far vedere loro le ferite (e a Tommaso chiede anche di toccarle) perché loro possano gioire. Hanno ancora bisogno in qualche modo di un corpo per poter credere in lui. E’ un’infinita incarnazione per tutti i credenti perché non possiamo pensare la vita, le parole e le opere di Gesù, come una mera ideologia. Il suo essere nella carne, lo collega a quella dei poveri del mondo: ecco perché ci sono ancora le ferite in un corpo (che noi chiamiamo glorioso) che riesce a passare per porte e pareti.
Ora, finalmente, i discepoli gioiscono nel vedere il Signore che ripete: Pace a voi.
Un nuovo sguardo e un nuovo stato del cuore
Ansie e paure non gli avevano permesso di ricevere la ‘prima’ pace. Hanno avuto bisogno ‘di vedere’ oltre per accogliere la pace offerta dal Risorto. State in pace e portatela al mondo come un per-dono, un dono per tutti, un dono perfetto. La pace per voi è uno stato interiore grazie alla Sua presenza nuova, quella che riconcilia gli uomini e il mondo ricapitolando tutte le cose in Lui (v. anche Ef 1). Ecco, adesso è il momento di condividerla con chi incontrate. Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date (Mt 10,8). Il mondo cerca la pace e io la offro non solo come assenza di guerra, ma come qualcosa di più (Gv 14,27).
Questo ‘di più’, è quella pace che a volte ci sfugge proprio mentre siamo affaccendati nelle vicissitudini quotidiane, nelle storie delle nostre relazioni, in quelle pause che meglio potrebbero offrici e dare per-dono.
Per-Dono = Dono Perfetto
Perdonarci i sensi di colpa, ad esempio, o perdonare le dimenticanze altrui, è un ottimo inizio. E quando avviene, non siamo forse in pace? Non sentiamo nel nostro corpo una speciale armonia con il nostro cuore e la nostra anima: tutto suona all’altezza giusta della medesima nota.
‘Di più’ è quel dono gratuito, senza un perché apparente, che ci arriva quando ci facciamo raggiungere dal respiro di Cristo, il suo soffio. Fare all’unisono, almeno un respiro al giorno con lui, specialmente nei momenti più difficili, per ricordarci che Lui è con noi sempre.
Lo Spirito ci guiderà. Noi siamo il suo tempio (1Cor 6,19), quello della nuova creazione, quello ‘ri-fatto’ proprio grazie alla Pasqua di Cristo.
Pace a voi. La pace è in voi.
Anna Maria e Francesco
L’ALTERNATIVA TRA IL RIMANERE SOLI E IL PORTARE MOLTO FRUTTO
La morte non è eliminabile, ma può non essere la fine
“In verità, in verità io vi dico: se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto (Gv 12,24)”.
Il chicco di grano forse oggi può dire molto poco. Ma proviamo a contestualizzare la metafora in una cultura un po’ più contadina della nostra, ove il valore del chicco veniva colto più facilmente. Il chicco è un frutto del passato, della mietitura scorsa e, quello che verrà seminato, è stato scelto tra gli altri che hanno già raggiunto il loro scopo. Per lui invece, il contadino ha scelto un’altra vita. Caduto in terra, la semina deve avvenire per giusta profondità, né troppo in alto, né troppo in basso; ma nemmeno troppo isolato o intasato fra altri. La semina non è un atto scontato (v. anche la parabola del Seminatore) e può avere successo oppure no e richiede tanto discernimento.
E’ dentro che si rinasce
Il processo di trasformazione avviene nell’alveo del terreno preposto per ciascun seme. I cristiani spesso hanno visto in questa nuova creazione del seme, la prefigurazione della resurrezione dei credenti, come quella di Cristo: le viscere della terra come il luogo nascosto ai più, ma visibile, a chi se ne intende, del mistero della vita nuova.
Della vita del passato, ci sono molte cose che hanno già dato ed hanno raggiunto il loro scopo: alcune non hanno più alcuna funzione e se vivono, vivono in noi come delusioni o recriminazioni oppure come ricordi (da tenere nel cuore). Altre cose del passato, le utilizziamo come esperienza per migliorare il nostro presente. Ma per il futuro dobbiamo investire in speranza, selezionando i giusti semi che è inutile tenere per noi. Solo se dati (‘morti a noi’), producono frutto, molto frutto. Chi tiene per sé ciò che a sua volta ha ricevuto, lo perderà.
Gesù è in alto perché salva dal basso
Gesù, giudicato dagli uomini inadatto alla verità della vita, è stato innalzato per essere visto morente da tutti: ha assunto la morte dell’umanità indicando la via della vita, a partire dalla profondità del dolore umano, producendo frutti che vediamo da millenni e che sperimentiamo nelle nostre esistenze. Ha superato la condanna dei sacerdoti del tempo, diventando segno e paradigma della misericordia di Dio, il vivente per sempre.
Non resta che trovare le sue tracce e affondarci il piede, procedendo un passo alla volta
Sul suo esempio, ringraziamo il Padre di quanto di buono abbiamo ricevuto e riceviamo, seminiamo quel bene che in abbondanza è già in nostro possesso per i raccolti precedenti. Lo facciamo nei modi che sono possibili oggi, a distanza e con le mascherine. Seminiamo bontà: donare e donarsi è un po’ morire, ma è ciò che dà vita e produce comunità come un bene maggiore per tutti.
Preghiera
Cristo Gesù, non vogliamo solo vederti innalzato, vogliamo seguirti, nelle profondità del mondo, di questo mondo di oggi, pieno di attese e di furbetti, di speranze e di impazienze, di cuori generosi ma anche di tanti solchi segnati dalle sofferenze della vita che attendono il tuo seme e, forse, potrei essere proprio io il tuo seme per loro.
Anna Maria e Francesco
Verso l’alto monte.
Il vangelo di questa seconda domenica di quaresima ci porta su di un alto monte, in disparte, dove attraverso Gesù traspare la luce di Dio. Nel suo trasfigurarsi Gesù appare conversare con Elia e Mosè. Di contro, Pietro Giacomo e Giovanni rimangono silenti e impauriti. Possiamo immaginare come Pietro abbia detto di fare tre tende: forse tremante? O col desiderio di essere ospitale con queste figure celesti? O addirittura così felice ed infervorato da voler restare in quella condizione più tempo possibile? … chissà … e noi cosa avremmo detto o cosa avremmo fatto?
Ma ancor prima, ci saremmo fatti portare su un alto monte?
L’alto monte e i crocifissi lungo la strada
La quaresima è anche un itinerario verso l’‘alto monte’, è un’esperienza di un cammino a tappe verso una visione luminosa del Cristo risorto. Troppo spesso ci fermiamo all’uomo inchiodato che vediamo benissimo, complici anche tutti i crocifissi che ci circondano. Forse ci siamo pure abituati a tutti i crocifissi del Covid, i numeri impietosi delle vittime quotidiane e dei loro familiari, e sempre più spesso, purtroppo, rimangono sempre più cifre e noi, quasi necessariamente anestetizzati dal dolore dei loro vissuti per non rimanere impietriti nel nostro quotidiano.
In alto c’è più luce da far entrare dentro
Per questo, nella nostra quaresima, nei nostri giorni, è necessaria una sosta sull’alto monte fare un’esperienza della Luce di Dio, il Gesù trasfigurato che anticipa il volto del Cristo risorto. Farci portare sul monte è trovare un luogo adeguato e conversare noi stessi con Gesù, trasfigurando almeno per un istante la nostra quotidianità.
Ma attenzione: non è necessario mettere lì le nostre tende. Torniamo a valle perché è lì invece che ci si misura la nostra vita. Possiamo portare giù dal monte alto, l’esperienza senza parlarne perché essa ci invita sì a salirci sempre, ma con lo scopo di diventare sempre più trasparenti portatori della luce di Dio in mezzo ai fratelli, alle persone che avviciniamo in tutti i nostri ambienti.
Lo scopo della Luce e illuminare, riscaldare, creare nuova vita per tutti
Platone nel Mito della Caverna ci consegna un’immagine della nostra vita molto stimolante. Ci descrive uomini all’interno di una caverna, legati e obbligati a vedere ombre proiettate come su uno schermo. Per essi quella è la vita. E se anche qualcuno cerca di far capire loro che c’è altro, perché uscendo con fatica da quell’ambiente, ha visto la luce del sole, e per solidarietà é tornato a raccontarlo, viene addirittura malmenato perché ritenuto un imbroglione visionario. Sì, c’è anche questo rischio, ma l’esperienza della luce del sole è troppo forte per non essere condivisa.
Egli è luce ed è presente su ogni alto monte dove ci faremo condurre, come a dire: torna a te stesso e scopri che sei davvero a mia immagine. E così, ritorna dai fratelli e dillo anche a loro: sarà allora che scoprirai la forza della luce a valle, nel silenzio della tua stanza e nei vicoli bui del quotidiano. Nulla potrà spegnerla. Mai.
Anna Maria e Francesco
Siamo giunti alla Quaresima.
Un mini percorso da cogliere al volo.
Parafrasando don Tonino Bello, amato vescovo di Molfetta morto nel 1993, possiamo pensare di vivere il tempo di quaresima come un lungo percorso i cui segni sono raccolti tra la testa e i piedi. Si inizia con l’imposizione delle ceneri in questo mercoledì e si finisce il giovedì santo, con la lavanda dei piedi. Sembra un tragitto breve, mediamente meno di due metri – dice don Tonino -, ma bisogna attraversare un vero e proprio mondo convertendosi, cambiando vertice.
Si parte dal purificare la mente dai pensieri vacui, dribblando giri mentali, demolendo convinzioni e pregiudizi. La mente che mente non è solo un paradosso: è l’inganno reale cui ci sottoponiamo anche quando pensiamo che è vero solo quello che pensiamo noi, senza darci altre possibilità. Disilludere la mente nelle sue preposizioni stratificate non è semplice: sono così tante le precomprensioni che è necessario sempre più sovente sospendere i giudizi ed imparare a stare nelle vicende e le questioni che la vita ci pone, lontano da un mondo immaginativo e preconfezionato. Digiunare dal guardare al solito modo se stessi e la vita, astenersi dal parlare vuoto preferendo il silenzio pieno, è uno dei modi possibili da applicare in questo periodo per una quaresima diversa dal solito. La cenere è ovviamente un prodotto trasformato perché sappiamo che in realtà era altro prima che venisse bruciato e, come un monito, ci indica di cambiare modi di pensare e di imparare da Cristo che alla scuola del Padre misericordioso, ci testimonia l’avvento del Regno nuovo, la vita nostra trasformata ed elevata.
Nel rapido discendere dal capo ai piedi, incontriamo il cuore, da sempre sede simbolica di affetti e sentimenti. Emozioni più o meno belle ci pervadono ogni giorno e, come in ogni tempo, ancora di più in quaresima dobbiamo orientarle e portarle così a conversione, nel porto del vertice nuovo. Le emozioni a volte sembrano sopraffarci, portandoci lontano da ciò che vogliamo e desideriamo più profondamente. Altre volte sono invece il motore determinante per il nostro procedere. A volte ci prendono; altre volte siamo noi a comprenderle. È necessario anche qui un piccolo percorso interiore che richiede una certa disciplina, proprio per non essere come una banderuola al vento delle paure, delle preoccupazioni, delle rabbie e di ciò che accade nelle nostre giornate. In questo tragitto, può venirci in soccorso la preghiera, la cui dimensione è sempre stata un riferimento importante per l’umanità di tutte le latitudini: essa ci eleva dal quotidiano e ci porta per i sentieri delle alte vette dove soffia il vento migliore . La preghiera semplice, la semplice giaculatoria ad esempio, accanto a tutti gli appuntamenti più importanti che ciascuno si vorrà dare, è una via immediata e sobria che possiamo sempre portare con noi. Placa l’animo e rinsalda il cuore specialmente se diventa come un respiro.
Ed arriviamo così, infine, ai piedi. Segno del camminare dell’essere in movimento. Impolverati dalle strade di allora, gli evangelisti li hanno raccontati anche in altri episodi. Ma il divin Maestro ha voluto lasciare attraverso di essi ed un grembiule, accanto al segno, un gesto, narrato nel solo vangelo di Giovani. Un’azione scrupolosa, per tutti, nessuno escluso, necessaria per avere parte con lui, per partecipare con il Cristo alla costituzione del Regno nuovo. Questa nuova realtà passa per un’azione concreta, un’azione che ci mette in relazione: camminare con altri, servire gli altri. È la carità in tutte le forme possibili per se stessi e per gli altri. Posso infatti esercitare carità con me stesso se mi lascio il tempo per dare più valore a ciò che può significare il mio essere cristiano nei fatti. Ci sono sicuramente tanti modi per non restare lontano dagli altri con cui convivo o con cui lavoro o che incontro quotidianamente, anche filtrati dalla mascherine di questo periodo. È l’azione amorevole e sincera che sigilla le mie piccole conversioni di questo tempo e di tutti i giorni. Un passo breve che una mente e un cuore convertiti, dai vertici rinnovati dalle giuste priorità e motivazioni, misura il nostro camminare in questo tempo speciale.
Ecco dei modi per vivere intensamente la quaresima, ‘dalla testa ai piedi’. Certo, lo abbiamo fatto velocemente, ma se vuoi saperne di più, scrivimi.
Colmare, ridurre, raddrizzare le strade.
Spunti per la seconda domenica di Avvento.
L’Avvento è un tempo STRAordinario, nell’ordinarietà dei nostri giorni, in cui decidiamo di metterci in cammino verso il Natale.
Nelle letture di questa seconda domenica di Avvento, Isaia ci invita alla preparazione della strada per il ritorno verso Gerusalemme, dopo il periodo d’esilio in Babilonia.
Marco, all’inizio del suo vangelo (il più antico tra i quattro) riporta la predicazione di Giovanni il battista che gridava nel deserto: “preparate la via del Signore”. L’invito è quello di andare da Gerusalemme verso il Giordano, il luogo in cui immergersi nel battesimo con acqua, segno del futuro battesimo nello Spirito.
Nei due brani c’è l’idea di una strada da sistemare: essa ci potrà condurre verso un ‘nuovo vertice’ della vita, ovvero verso una vera e propria con-versione.
Colmare, ridurre, raddrizzare, sono alcune delle operazioni necessarie per lasciare le nostre ‘Babilonie’ e rigenerarsi nello Spirito. Ad esempio, potremmo utilizzare le numerose luci e lucine che troviamo per strada o quelle che utilizziamo per l’addobbo casalingo, come luci evocatrici di una pista di atterraggio o di un faro per orientarsi alla Luce.
Aprire spazi, creare luoghi perché il vero Natale trovi posto nelle nostre vite.
L’Avvento è per noi la strada spirituale verso un Natale diverso, come un grido nel deserto di una pandemia, di una distrazione di massa verso consumi più o meno sobri, di un deserto interiore magari con una via stanca piena di buche o di grandi sassi, una strada fatta di una fede convenzionale di abitudini e/o di sole regole senza un’anima.
In questo Avvento ecco per noi una strada nuova: colma, riduci, raddrizza le tue giornate, vivi il tuo ‘deserto’ come una risorsa per preparare un Natale nuovo. Rifare i nostri spazi con presepe ad albero e creare luoghi interiori come una culla, una mangiatoia, per accogliere vita nuova, come accade in ogni grembo materno che si espande e in alcune parti si ritrae, per far posto alla nuova vita che verrà.
Un invito per ciascuno di noi.
Puoi far coincidere la nascita di Gesù con le tua rinascita, con-vertendo il tuo battesimo sulla strada della riscoperta della sorgente di vita, bontà, verità e bellezza.
Il Signore viene e traccia la strada con i suoi profeti, ha segnato con i suoi testimoni il percorso da seguire e, noi, siamo invitati e inviati tra di essi perché il mondo possa intravedere la vera Luce che viene ogni giorno, tra le tante piccole stelle di Natale.
Anna Maria e Francesco Paolo
Siate attenti.
Spunti per la prima domenica di Avvento.
Il vangelo di questa prima domenica di avvento (Mc 13, 33-37) ci esorta a ‘vegliare’. Il verbo viene ripetuto in poche righe ben quattro volte. La sottolineatura è tale che ritroviamo il termine in apertura e chiusura.
Siate attenti, vigilate. Lo dico a tutti, vigilate. La cosa è proprio seria e Matteo ci avverte così del rischio di essere sonnecchiosi, se non completamente dormienti. Collocati nelle abitudini quotidiane, facciamo fatica a restare nelle domande più profonde. Può accadere anche nelle situazioni più straordinarie e, anziché sollecitarci per comprendere meglio chi siamo e dove vogliamo andare, ci ‘svegliamo’ solo un attimo come di soprassalto in un incubo, ritornando poi nella faccende ordinarie, come dei turisti nella vita. Può sembrare che la cosa ci spaventi, ma poi tutto può ritornare come prima e ricominciamo a sopravvivere mentre crediamo di vivere.
Siate attenti, vigilate.
Il vegliare è l’azione di colui che presta (maggiore) attenzione in un tempo particolare tipo la notte, in un momento di difficoltà o per la protezione di persone e luoghi… Il vegliare è un’attitudine da allenare per cercare di essere presenti dalla vita vera, mentre tutto scorre ‘normalmente’ e normalizzato da convinzioni e credenze. ‘Dormire’ all’essenza della vita, sopraffatti da bisogni effimeri, è il grosso rischio che possiamo correre anche nel vivere questo Natale come quello degli altri anni, nonostante tutto, senza la giusta vigilanza spirituale.
Il nostro compito, secondo l’indicazione di Gesù, è quello di non dormire: perché e come possiamo non addormentarci? L’immagine che ci può aiutare è quella del portiere e che ritroviamo nei versetti che stiamo commentando. La sua funzione è quella di custodire una porta, una soglia, un limite, una frontiera. Possiamo allora sentirci sempre lì, pronti ad arginare le diverse situazioni di comfort, come la fede relegata a certezze, dogmi e regole, oppure riscoprirla come una fonte inesauribile di relazioni sane e vere la cui sorgente sempre nuova è Cristo. E’ una soglia su cui stare, dove dobbiamo essere attenti, vigilare. Siamo sempre al confine tra il rimanere addormentati nelle cose del mondo o risvegliarci alla presenza di Dio.
Ma cosa dobbiamo custodire? Questo nostro portiere custodisce tutti i carismi in noi. Infatti, non manca nulla a chi incontra Cristo (cfr 1Cor 1, 6-7). E’ questa è la premura che dobbiamo avere: riconoscere costantemente l’essenza personale nobile e condividerla con ci chi sta accanto.
Vigiliamo dunque e iniziamo questo Avvento.
Il nostro Re è speciale.
Considerazioni sul vangelo della domenica.
E’ proprio ‘dell’altro mondo’, quello migliore.
Sì, perché un altro mondo è possibile e possiamo dirlo dopo questi ultimi tre passi che la comunità dell’evangelista Matteo ci ha fatto fare in queste ultime domeniche che concludono l’ anno liturgico.
Alle vergini è data la possibilità di agire con amore verso se stesse, lo Sposo, il mondo.
L’amore è dato dal Signore gratis; è dato in modo smisurato nella metafora dei talenti da investire. E’ dato senza timori e ci invita a non dichiararci inabili, come spesso facciamo addirittura prima ancora di iniziare ad agire.
Il nostro Re è davvero speciale.
Viene come un pastore per le sue pecore, compie il suo lavoro (ed è un grande lavoratore)
E’ un grande re che si prende le sue responsabilità, con cura e fino in fondo. Se non lo avessimo ancora capito, ce lo ripete ancora, fino alla fine. Vuole dirti: “Se non agisci con amore e per la giustizia ti perdi. Il tuo orizzonte, la tua finalità è il prendere parte con lui, il re pastore, del regno nuovo già qui, ora, in questa vita. Se non prendi l’olio, se sotterri il talento, se non ti ami e non investi nell’amore verso chi è più in difficoltà, te per primo, ti perdi qualcosa, ti escludi da questo regno, ti sei già separato dal resto”.
Il nostro Re è più di una parte, è universale.
Vuol dire che è per tutti e che non esclude nessuno. Chi si tira fuori, lo fa per sua scelta o forse solo per triste, drammatica inconsapevolezza di quanto Amore e non Giudizio, ci sia nello sguardo del Padre. Solo nelle relazioni sane ci si salva. Il Re universale vuole portare tutti alla vita vera e, fino alla fine, è con te, per non farti essere il ‘solito caprone’, potremmo dire con il sorriso sulle labbra. Con William Blake comprendiamo meglio il senso di questa ultima parabola: “Ho cercato la mia anima e non l’ho trovata. Ho cercato Dio e non l’ho trovato. Ho cercato mio fratello e lì ho trovato tutti e tre”.
Chi vuole prendere parte al regno universale di questo Re più che speciale, lo segue nella via che egli stesso ha segnato e si riconosce come essere umano in relazione. Ciò dice-bene (bene-dice) la propria vita. Chi si chiude in se stesso, si sotterra, dice-male (male-dice), bruciando rovinosamente i propri giorni.
Il mio Re è un pastore amorevole.
Mi custodisce insieme ai fratelli più invisibili al mondo.
Dio mi ama, prezioso ai suoi occhi come prezioso per il Pastore è tutto il gregge e che tutto offre per l’unicità di ciascuno. E proprio quando divento stracolmo, debordante di gratitudine e meraviglia, vedo che non c’è più separazione tra me e gli altri, non c’è nulla di più naturale che sostenere gli altri, perché ciò che dono, migliora gli altri e me all’istante.
Quella che ci fa soffrire di più la pandemia, per esempio nel distanziamento tra noi, ci fa desiderare di più il suo contrario, perché così si propagherà l’amore di Dio, anche nelle forme che possiamo trovare comunque possibili oggi.
Non potremmo essere più sollecitati di così: ciò che ci viene tolto, ci faccia sentire il fuoco della mancanza così forte da renderci inquieti e arditi , per ritornare lì dove il Re vive già per costruire il Regno di Amore e di Pace, oggi.
Anna Maria e Francesco Paolo