SULLA VIA DELLA PASQUA DEI GERMOGLI COME SEGNALI.
Molte culture e religioni nei secoli hanno sviluppato delle pratiche in prossimità dei passaggi stagionali. Il tempo che passava era l’opportunità per propiziarsi i benefici degli astri e quelli delle divinità per vivere una vita migliore, purificandosi. La Pasqua cristiana è una festa primaverile e, dunque, legata al ciclo delle stagioni poiché segue la tradizione ebraica che celebra la propria Pasqua proprio durante la prima luna di primavera. Il periodo di preparazione a questa festa è stato chiamato dai cristiani ‘Quaresima’ ed evoca diversi tempi di interlocuzione e preparatori, simbolici e storici, presenti nelle scritture ebraico-cristiane. Nel passato, di quaresime se ne contavano almeno quattro ‘grandi’.
La tradizione cattolica per questo tempo forte, offre ai propri fedeli tre consigli, come tre indicazioni per un viaggio importante che ha come destinazione il raggiungere la meta che è la Celebrazione della Vita, la Resurrezione di Cristo e l’incontro col Risorto. I tre strumenti per questa via sono: il digiuno e l’astinenza, la preghiera e la carità (elemosina).
Accanto alle molteplici considerazioni ed alle pratiche indicazioni specifiche riservate ai fedeli cristiani, ecco alcuni spunti di riflessione da un’altra angolazione, come degli appunti condivisi.
Il digiuno e l’astinenza richiedono una disciplina specifica. Sono degli atti volitivi concreti che necessitano di un’attenzione costante e ricorrente. Rivolti a se stessi, questi atti non trattano soltanto del privarsi di qualcosa in modo da tentare di riportarmi alla vita della spirito ma, riducendo, addizionano. Infatti, digiunando di pensieri nocivi circolari, astenendomi da sub-emozioni o emozioni negative, posso liberare in me spazi nuovi per interrogarmi sul chi sono veramente e dove voglio andare. Se non sono quello che si angustia o si lamenta, quello che si dice male le cose o che si dichiara insufficiente (magari senza accorgersene); che tipo di relazione ho con me stesso e chi voglio essere? Digiunare di credenze e convinzioni che mi riguardano, apre spiragli nuovi di luce su me stesso, sul mio solito modo di fare e proprio mentre mi libero di zavorre che mi trattengono verso il basso, posso alzare il mio sguardo, verso un nuovo me stesso possibile, inedito.
La preghiera, senza entrare in dissertazioni e speculazioni da capogiro, ha come denominatore comune, anche in tutte le realtà religiose, il tentativo di unire il basso con l’alto, la terra con il cielo, l’uomo con l’Altro, il Totalmente Altro. E’ senza dubbio chiaro che, in questo tentativo, nulla può l’uomo senza che l’Altro si riveli per primo. Se Dio non si dà, ben poco può l’uomo per coglierlo. Allora l’essere umano ha avuto ed ha molto da fare nel riconoscerlo negli eventi naturali e nel creato, ma tanto e ancora molto deve in quel senso e nel riconoscimento dello Spirito in se stesso e nel genere umano. Certo la mal-dicenza, ad intra ed ad extra, non aiuta a riconoscere il bene ed è proprio in questo senso che, digiuno e astinenza aprono un varco al Bene supremo così da rendere possibile un nuovo parlare umano. Mente e cuore purificati possono ac-cogliere più facilmente la gratuità del Dono. In questo incontro speciale si sperimentano benedizioni, lodi, ringraziamenti, suppliche… La preghiera, mi svela il tipo di relazione che ho con la Vita, arricchisce e dispone meglio me stesso e non modifica certo l’intenzione di Dio.
Questo speciale triangolo per il tempo quaresimale, ha un terzo vertice fondamentale: la carità o elemosina. E’ il punto finale e, al contempo, un nuovo inizio di un tragitto. Quello che io posso donare a chi mi è accanto, a chi incontro, è ben poca cosa senza i due passi precedenti. Si pensi così alla categoria di misura a cui il dono vero si sottopone sempre malvolentieri e, per esempio, posso provare ad immaginarmi zeppo di pregiudizi, senza alcuna ‘astinenza volontaria’: che spazio rimane per il dono? Digiunando da essi, ricolmo della Misericordia di Dio che si misura come una quantità buona, pigiata, scossa e traboccante, che elemosina sarà la mia? Non dunque una carità grossolana che pure può essere buona (poiché ‘un saluto non si nega a nessuno’), ma un dono generoso, così generoso che mi ritorna straordinariamente allo stesso modo con cui io l’ho offerto, perché quella misura mi qualifica e mi rigenera. Nell’altro io posso riconoscermi, mi rispecchio e mi rinnovo; non posso prescindere da lui perché digiuno e preghiera sarebbero estranei al mondo e pii esercizi astratti ed io sarei fuori dalla realtà. La carità è amore in atto verso l’altro, Dio e me stesso.
Qualsiasi dono offerto mi riporta alla mia autenticità e a Colui che mi ha amato e ha dato se stesso per me come modello perfetto, a ciò che sono e a come voglio essere, al mio modo di intendere le relazioni con gli altri, gli avvenimenti e le cose e la fede, la mia vita spirituale. Che tipo di primavera esistenziale mi aspetto? Quale vita fiorita voglio per me? La via del ‘triangolo’ fuga le nebbie invernali ed offre dei germogli come segnali.
Bravo Francesco, scopro dei talenti tenuti umilmente nascosti!
Grazie!
In questo periodo forse è più difficile fare la carità poiché i contatti sono ridotti, ma penso che con impegno si possa vivere al meglio la Quaresima anche nella situazuone in cui ci troviamo. Ciò che ha scritto è molto interessante ed è un impegno che ognuno dovrebbe prendersi.
Grazie!