RICREARE SPAZI SACRI

Il brano di questa terza domenica di quaresima, preso dal vangelo di Giovanni (2,13-25), narra del famoso episodio in cui Gesù scaccia i mercanti dal Tempio. E’ il momento in cui la modalità di Gesù ci sorprende per la decisa scelta di campo: il Tempio è stato invaso. C’è uno spazio da ricreare, in cui vivere la presenza di Dio ad un livello ancora più profondo e sorprendente.

L’evangelista lo pone tra l’episodio delle nozze di Cana e quello di Nicodemo e della sua rinascita necessaria. Perché? E perché la liturgia ci propone questo episodio dopo averci fatto contemplare la Trasfigurazione?

L’umanità è in cammino verso il suo essere nuova: il rapporto con le cose e gli avvenimenti del mondo, il modo di intendere le relazioni umane, la nuova essenza della relazione con Dio, attraverso la predicazione di Gesù del Regno che viene, ci dona prospettive nuove, di rinascita appunto.

È la buona novella.

Con Gesù, il Tempio (e soprattutto quel tempio divenuto mercato!) diventa un segno e un simbolo: “distruggetelo e io lo ricostruirò in tre giorni”. Lo dice di se stesso, della sua morte e della sua resurrezione, scrive Giovanni. Ma ci ricorda anche che noi stessi siamo tempio dello Spirito proprio per mezzo del mistero pasquale (1Cor 6,19-20).

Quali sono dunque i nostri mercanti?

Interiormente produciamo ‘transazioni’ dagli interessi molteplici e forse ne diventiamo sempre più dipendenti. I meccanismi sembrano proprio quelli del Tempio di Gerusalemme: compra-vendite per le offerte al tempio, dimenticando che Dio ci ha fatto ‘uscire dalla condizione servile’ (v. prima lettura della liturgia odierna Es 20,1) per allontanarci dalla condizione dello scambio.

Proprio come si dice per questi tempi che stiamo vivendo, forse è un’altra l’economia su cui basare i nostri sistemi di vita: dalle schiavitù alla libertà. Sì, perché Gesù ci ha liberati dal sistema del do ut des, aprendo definitivamente la via del dono, che è gratuito.

Ognuno può conoscere i propri banchi ben posizionati da tempo e i cambiavalute interiori in un tempio sì intimo, ma senza vitalità divina. C’è un prezzo che si paga nel non riconoscersi tempio dello Spirito. Ma c’è una novità: Gesù con la sua Pasqua ci dice che noi siamo il Tempio nuovo di Dio e la quaresima è il tempo in cui ci alleniamo a rinascere a vita nuova.

Lasciare entrare Gesù nel Tempio della nostra vita, significa lasciare a lui anche la briga di spazzare via gli usurpatori di un posto che spetta a Cristo soltanto. Ritagliamoci dunque tempi di preghiera, minuti di silenzio, semplici meditazioni, durante questi giorni; liberiamo lo spazio interiore dalle cose meno utili e accogliamo il Maestro buono, gratis.  E dal gratis arriveremo alla necessità di esprimere gratitudine piena e sincera, senza banchi e cambiavalute.

Anna Maria e Francesco

Verso l’alto monte.

Il vangelo di questa seconda domenica di quaresima ci porta su di un alto monte, in disparte, dove attraverso Gesù traspare la luce di Dio. Nel suo trasfigurarsi Gesù appare conversare con Elia e Mosè. Di contro, Pietro Giacomo e Giovanni rimangono silenti e impauriti. Possiamo immaginare come Pietro abbia detto di fare tre tende: forse tremante? O col desiderio di essere ospitale con queste figure celesti? O addirittura così felice ed infervorato da voler restare in quella condizione più tempo possibile?  … chissà … e noi cosa avremmo detto o cosa avremmo fatto?

Ma ancor prima, ci saremmo fatti portare su un alto monte?

L’alto monte e i crocifissi lungo la strada

La quaresima è anche un itinerario verso l’‘alto monte’, è un’esperienza di un cammino a tappe verso una visione luminosa del Cristo risorto. Troppo spesso ci fermiamo all’uomo inchiodato che vediamo benissimo, complici anche tutti i crocifissi che ci circondano. Forse ci siamo pure abituati a tutti i crocifissi del Covid, i numeri impietosi delle vittime quotidiane e dei loro familiari,  e sempre più spesso, purtroppo, rimangono sempre più cifre e noi, quasi necessariamente anestetizzati dal dolore dei loro vissuti per non rimanere impietriti nel nostro quotidiano.

In alto c’è più luce da far entrare dentro

Per questo, nella nostra quaresima, nei nostri giorni, è necessaria una sosta sull’alto monte fare un’esperienza della Luce di Dio, il Gesù trasfigurato che anticipa il volto del Cristo risorto. Farci portare sul monte è trovare un luogo adeguato e conversare noi stessi con Gesù, trasfigurando almeno per un istante la nostra quotidianità.

Ma attenzione: non è necessario mettere lì le nostre tende. Torniamo a valle perché è lì invece che ci si misura la nostra vita. Possiamo portare giù dal monte alto, l’esperienza senza parlarne perché essa ci invita sì a salirci sempre, ma con lo scopo di diventare sempre più trasparenti portatori della luce di Dio in mezzo ai fratelli, alle persone che avviciniamo in tutti i nostri ambienti.

Lo scopo della Luce e illuminare, riscaldare, creare nuova vita per tutti

Platone nel Mito della Caverna ci consegna un’immagine della nostra vita molto stimolante. Ci descrive uomini all’interno di una caverna, legati e obbligati a vedere ombre proiettate come su  uno schermo. Per essi quella è la vita. E se anche qualcuno cerca di far capire loro che c’è altro, perché uscendo con fatica da quell’ambiente, ha visto la luce del sole,  e per solidarietà é tornato a raccontarlo, viene addirittura malmenato perché ritenuto un imbroglione visionario. Sì, c’è anche questo rischio, ma l’esperienza della luce del sole è troppo forte per non essere condivisa.

Egli è luce ed è presente su ogni alto monte dove ci faremo condurre, come a dire: torna a te stesso e scopri che sei davvero a mia immagine. E così, ritorna dai fratelli e dillo anche a loro: sarà allora che scoprirai la forza della luce a valle, nel silenzio della tua stanza e nei vicoli bui del quotidiano. Nulla potrà spegnerla. Mai.

Anna Maria e Francesco

Siamo giunti alla Quaresima.

Un mini percorso da cogliere al volo.

Parafrasando don Tonino Bello, amato vescovo di Molfetta morto nel 1993, possiamo pensare di vivere il tempo di quaresima come un lungo percorso i cui segni sono raccolti tra la testa e i piedi. Si inizia con l’imposizione delle ceneri in questo mercoledì e si finisce il giovedì santo, con la lavanda dei piedi. Sembra un tragitto breve, mediamente meno di due metri – dice don Tonino -, ma bisogna attraversare un vero e proprio mondo convertendosi, cambiando vertice.

Si parte dal purificare la mente dai pensieri vacui, dribblando giri mentali, demolendo convinzioni e pregiudizi. La mente che mente non è solo un paradosso: è l’inganno reale cui ci sottoponiamo anche quando pensiamo che è vero solo quello che pensiamo noi, senza darci altre possibilità. Disilludere la mente nelle sue preposizioni stratificate non è semplice: sono così tante le precomprensioni che è necessario sempre più sovente sospendere i giudizi ed imparare a stare nelle vicende e le questioni che la vita ci pone, lontano da un mondo immaginativo e preconfezionato. Digiunare dal guardare al solito modo se stessi e la vita, astenersi dal parlare vuoto preferendo il silenzio pieno, è uno dei modi possibili da applicare in questo periodo per una quaresima diversa dal solito. La cenere è ovviamente un prodotto trasformato perché sappiamo che in realtà era altro prima che venisse bruciato e, come un monito, ci indica di cambiare modi di pensare e di imparare da Cristo che alla scuola del Padre misericordioso, ci testimonia l’avvento del Regno nuovo, la vita nostra trasformata ed elevata.

Nel rapido discendere dal capo ai piedi, incontriamo il cuore, da sempre sede simbolica di affetti e sentimenti. Emozioni più o meno belle ci pervadono ogni giorno e, come in ogni tempo, ancora di più in quaresima dobbiamo orientarle e portarle così a conversione, nel porto del vertice nuovo. Le emozioni a volte sembrano sopraffarci, portandoci lontano da ciò che vogliamo e desideriamo più profondamente. Altre volte sono invece il motore determinante per il nostro procedere. A volte ci prendono; altre volte siamo noi a comprenderle. È necessario anche qui un piccolo percorso interiore che richiede una certa disciplina, proprio per non essere come una banderuola al vento delle paure, delle preoccupazioni, delle rabbie e di ciò che accade nelle nostre giornate. In questo tragitto, può venirci in soccorso la preghiera, la cui dimensione è sempre stata un riferimento importante per l’umanità di tutte le latitudini: essa ci eleva dal quotidiano e ci porta per i sentieri delle alte vette dove soffia il vento migliore . La preghiera semplice, la semplice giaculatoria ad esempio, accanto a tutti gli appuntamenti più importanti che ciascuno si vorrà dare, è una via immediata e sobria che possiamo sempre portare con noi. Placa l’animo e rinsalda il cuore specialmente se diventa come un respiro.

Foto di BennoOosterom da Pixabay

Ed arriviamo così, infine, ai piedi. Segno del camminare dell’essere in movimento. Impolverati dalle strade di allora, gli evangelisti li hanno raccontati anche in altri episodi. Ma il divin Maestro ha voluto lasciare attraverso di essi ed un grembiule, accanto al segno, un gesto, narrato nel solo vangelo di Giovani. Un’azione scrupolosa, per tutti, nessuno escluso, necessaria per avere parte con lui, per partecipare con il Cristo alla costituzione del Regno nuovo. Questa nuova realtà passa per un’azione concreta, un’azione che ci mette in relazione: camminare con altri, servire gli altri. È la carità in tutte le forme possibili per se stessi e per gli altri. Posso infatti esercitare carità con me stesso se mi lascio il tempo per dare più valore a ciò che può significare il mio essere cristiano nei fatti. Ci sono sicuramente tanti modi per non restare lontano dagli altri con cui convivo o con cui lavoro o che incontro quotidianamente, anche filtrati dalla mascherine di questo periodo. È l’azione amorevole e sincera che sigilla le mie piccole conversioni di questo tempo e di tutti i giorni. Un passo breve che una mente e un cuore convertiti, dai vertici rinnovati dalle giuste priorità e motivazioni, misura il nostro camminare in questo tempo speciale.

Ecco dei modi per vivere intensamente la quaresima, ‘dalla testa ai piedi’. Certo, lo abbiamo fatto velocemente, ma se vuoi saperne di più, scrivimi.

I Magi.

La Stella, il Cammino, i Doni.

Si è molto discusso e si discute ancora sui Magi: erano tre, erano re, venivano dalla Persia… c’è chi ancora si chiede per quale motivo la comunità di Matteo abbia avuto la necessità di inserire questi personaggi nel Vangelo (Mt 2,1-12). Infatti, è l’unico vangelo che ne parla e in un modo che lascia davvero sorpresi per alcune dinamiche del loro viaggio e di come queste abbiano coinvolto ‘il re Erode e tutta Gerusalemme’, oltre le conseguenze del loro improvvido (?) fare che portò alla strage degli innocenti. In realtà essi erano dei cercatori e tutto il male venne fuori da una persona che rappresentava e rappresenta ancora chi di voglia di mettersi in cammino non aveva e non ne ha (andate, informatevi, trovate, poi venite e riferitemi). È un po’ come quelli che stazionano nel loro luogo di potere, in comfort zone, aspettando il lavoro degli altri per sentirsi confermati nelle proprie convinzioni e, spesso, per azioni maldestre.

Ma i Magi hanno visto sorgere la sua stella. Non una stella qualsiasi, nemmeno quella cometa (di cui non si dice nulla in realtà), ma la sua stella, la stella di colui che regna davvero. Forse di questo ‘davvero’ ha paura Erode: essere smascherato nella finzione del suo regnare, della sua presunta signoria. I Magi Sapienti cercano il Re, il Signore. Possiamo, con una certa poesia, pensare che siano degli scienziati sapienti, che sanno di non sapere. Dal suo nascere hanno visto la stella, il desiderio più recondito, che non ha scritto nulla in cielo se non una destinazione, quella propria e personale, secondo il loro spirito dei veri cercatori sapienti. La stella orienta, come il desiderio più vero, ti porta alla meta.

Alla meta non si arriva per caso. Se ci si distrae, piuttosto, la si perde di vista (e che gioia grandissima ritrovarla!) e bisogna rifare i calcoli, chiedere e chiedersi come fare per ritrovarla e, addirittura, anche il male in persona può dare degli indirizzi, anche se sempre solo la tua stella saprà dirti dove sei e dove devi andare. Camminare, essere in cammino, è condizione fondamentale per comprendere se stessi in divenire. L’errore dello stare fermi, della boria di sapere tutto, non ti fa trovare e, magari, ti fa solo lamentare della stagnazione personale e degli altri che non cambiano: sempre le solite cose. La via è vita. Percorrerla è vivificante.

Una direzione e un percorso, per? Portare un dono. Al di là della simbologia costruita in questi secoli sui singoli omaggi, può un viaggio così lungo e difficile per quel tempo, avere questo semplice scopo? Si erano già organizzati nella distribuzione dei doni? Avevano più doni personalmente e poi ognuno ha deciso quello su cui puntare per fare più bella figura? Ognuno ha portato il migliore, il dono più prezioso possibile in quel tempo, per quel momento, per la propria condizione personale, per il cammino fatto e per quello che doveva fare. Nella casa della santa Famiglia è stato deposto il segno di ciò che uno è: nello scrigno c’era il tesoro nascosto di ciascuno, offerto come culmine di un itinerario, ma non come il termine.

La Stella orienta il cambiamento del viaggio. L’offerta del dono non prevede nessun ricambio. Il dono è fine a se stesso e non gli ha impoveriti. Il dono ha creato uno spazio per accogliere il Cristo: di ritorno, per un’altra strada, continueranno a donare a tutti i ‘poveri cristi’ di questa nuova via.

Per i cristiani ortodossi è questo il loro Natale, come una nuova nascita, una nuova strada con le persone che si trovano ai margini di essa. Questo è quello che ha fatto Gesù nella sua vita: Testimoniare il Regno come una stella, i piedi nella polvere e le mani operose che donavano amore a chiunque incrociasse il suo sguardo.

La vita è un dono.

Due esercizi per ricordarsene.

Tra la fine e l’inizio di un anno si è sempre soliti fare un po’ di revisioni e di programmi. In questa verifica (fare verità, tentare di mettere ordine alla propria vita anche solo per qualche momento) echeggiano vari richiami verso quello che poteva essere e non è stato e a quello che potrebbe essere ancora e che potremmo generare. Tra queste onde sonore interiori che vibrano sul finire del 2020, suggerisco due esercizi legati fra loro.

L’esercizio delle gratitudine sposta l’ego dal centro della vita, liberando uno spazio essenziale. Ecco perché è importante essere grato e, se ancora lo sono poco o penso che in un anno come questo che è passato non è possibile dire ‘grazie’, posso mettermi alla scuola della Vita per imparare. Infatti, essere vivi e respirare, non è stato chiesto e neppure meritato. Totalmente gratis è l’aria che si respira, la luce, la natura, l’amore… Dal tutto mi è dovuto, al tutto mi è dato, il passo è fatto, basta davvero poco. L’esercizio deve essere costante e, anche questo, è gratuito.

Che dire poi di come il lamento che ci accerchia e ci reclude, porta con sé il peso della recriminazione, la dispersione delle nostre forze a causa delle emozioni negative… la gratitudine rimette in ordine il cassetto del tempo e il passato riduce le sue ombre mentre il futuro si illumina di mille colori. Per annullare il motivo del lamento, l’esercizio è sforzarsi di trovare il modo di dire bene su ciò che mi accade. Bene-dire, per essere grati. Non è semplice ma occorre esercitarsi. Dal lamento alla gratitudine è un risultato di molti passaggi, così come la trama di una tela diventa il tessuto di cui vestirsi. È un allenamento di cui non si potrà più fare a meno, non appena provati i primi benefici.

Più alto e profondo è il ‘grazie’ che riesci a pronunciare, più si aprono gli orizzonti. Mentre l’ego ti accorcia gli spazi, dire grazie sicuramente ti migliora la vita, oltre il 2020, per il miglior 2021 possibile.

Esercitandoci alla gratitudine non ci accomodiamo o ci accontentiamo, ma facciamo sì non tanto che migliori genericamente il 2021, ma che il 2021 sia ‘buono’ davvero, perché ognuno di noi e più grato alla Vita. Riconosciamolo per primi e attorniamoci di persone che vogliono essere grate.

Il Signore è con te.

Spunti per la quarta domenica di avvento.

Il vangelo di quest’ultima domenica di avvento (Lc 1, 26-38) ci riserva molte spunti per la nostra riflessione e diverse suggestioni. Come al solito prenderemo solo pochi aspetti.

«Il Signore è con te»: non è un’opinione, un pensiero così per dire, una possibilità tra le tante, una promessa. Il Signore è con te è un’affermazione, una certezza; è una dichiarazione d’amore esplicita. Alla Madre dei credenti è dato di generare il Figlio e tutti i figli nella fede. Maria è piena di grazia perché svuotata da se stessa: come un cesto libero da altro si lascia riempire di doni, del Dono, dello Spirito. Feconda Gesù per sé e il Cristo per gli altri. E’ madre della fede avendo creduto senza vedere e toccare, molto più dell’apostolo Tommaso che aveva condiviso almeno un tempo di vita insieme. E’ come noi all’inizio. Quello di Maria è uno spazio dato oltre il tempo ed esiste nel femminile dell’umanità, portato alla pienezza dalla giovane donna di Nazareth.

La notizia non priva di turbamenti non solo lei, ma anche noi. Forse possiamo pure sapere che Dio è con noi, ma la vita è quella che è sia a livello personale che nelle relazioni, nelle vicissitudini del mondo… Come si spiega tutto questo? Dubbi, incertezze, paure, attraversano trasversalmente ognuno di noi e il mondo vive le proprie fatiche su questo e altro quotidianamente. Non v’è dubbio sulla differenza tra ciò che è e la vita migliore; ma è proprio per questo che viene il Natale. Il Signore c’è ed è pronto a colmare tutti e il mondo, si svela fino in fondo in una mangiatoia ma il suo esserci è come una domanda e richiede una risposta.

Per questo Maria pronuncia l’”eccomi” più diffuso nella storia. Ecco me, io sono qui. Come dire: “Ok, ho capito, va bene, se Tu ci sei, ci sono anch’io. Io e te passeremo per gli incroci più difficili della storia: lo diremo ai pastori come ai magi e a tutti”. Sì, il Signore è con me ed è con te e, insieme, noi, possiamo cambiare il corso della storia, a partire dalla nostra storia personale.

Raccogliamo dentro di noi quest’annuncio e regaliamoci un Natale davvero diverso, oltre regali e restrizioni possiamo dire ‘eccomi’ in questa storia, in questi spazi, io voglio esserci davvero e ci sarò davvero per me stesso, per chi mi sta vicino e per il mondo. Se il Signore è con me, di chi e di che cosa avrò paura (Sal 26)?. Se il Signore è con me, io ci sono. Eccomi.

“Va’, fa’ quanto hai in mente di fare, perché il Signore è con te” (2Sam 7,3). Mi fido di me, mi affido a Te.

Il passo della gioia.

Spunti per la terza domenica di Avvento.

Nel percorso verso l’avvento, questa domenica batte il passo della gioia. Anche la candela della corona cambia colore è diventa rosa. Tra le quattro dell’Avvento, questa è una domenica che si distingue. Gioite, rallegratevi sempre, il Signore viene (Fil 4,4), recita l’antifona della liturgia odierna.

Come sempre la Parola proposta è ricca; iniziamo col soffermarci su alcune espressioni, della lettura di Isaia (61, 1-2.10-11), sottolineando tre passaggi che soggiacciono a questo invito alla gioia.

Primo passaggio. Come battezzati siamo consacrati, siamo parte di Dio e, come tali, siamo chiamati all’annuncio e alla carità. Questa è la nostra gioia. Portare il lieto annuncio ai miseri, fasciare le piaghe dei cuori spezzati, proclamare la libertà degli schiavi, … perché appartengo, apparteniamo a Dio, tutti. Non esiste condizione che ci privi e privi nessuno del suo abbraccio amorevole.

Secondo Passaggio. Egli mi ha rivestito delle vesti di salvezza, mi ha avvolto con il mantello della giustizia, mi ha nobilitato con i suoi gioielli. Così come ha impreziosito me, Dio desidera che l’umanità sia ugualmente impreziosita riconoscendo lo Spirito nel suo essere, anche mediante l’azione di ogni singolo consacrato.

Terzo Passaggio. Solo così, germoglierà la giustizia e tutti potremmo dire le meraviglie di Dio. Poiché come un giardino fa germogliare i suoi semi, anche la terra di ciascun essere umano può essere fertile e fruttuosa. Come sempre si intreccia il rapporto personale con Dio anche attraverso la relazione con chi mi è vicino.

C’è di che essere gioiosi. Il Signore per primo è vicino. Come possiamo riconoscerlo? Giovanni il battista nel Vangelo odierno rappresenta la figura che ognuno di noi può avere come modello per un percorso che renda visibile la presenza di Cristo nelle nostre giornate verso il Natale, e non solo. A noi tocca ‘ritrarre’ il nostro ego per lasciare spazio al Messia, al Consacrato; noi siamo voce nel deserto, Egli è Parola del Giardino, seme che germoglia. C’è una distanza tra divino e umano che grazie al Natale viene colmata, per l’abbondante misericordia di Dio.

Ecco, il nostro Dio viene anche così: riconoscendo di essere sua parte, consacrati e inviati alle donne e agli uomini che ci sono vicini.

Senza timore alcuno poiché siamo rivestiti della sua splendida bellezza; a noi tocca solo di lasciare che sia lui a prendere spazio e la vita cambierà, sarà Natale vero.

Rallegratevi dunque, Rallegratevi nel Signore, sempre.

Anna Maria e Francesco Paolo